Alfio
Alfio

Natale anni 50

 

E’ Natale, c’è nelle famiglie il principio della Fede e dell’amore verso gli altri poveri rispettando con devozione la nascita del Bambino Gesù anche lui nato in una povera capanna riscaldata da un bue ed un asinello, il pio bue ed il mite asinello.

Tirava, come tutti gli anni, una gelida tramontana che a dir poco feriva sulla faccia di chi rincasava o si recava verso i luoghi del culto.

Tre poveri esseri, madre, figlio ed il loro cane, quasi congelati cercavano di raggiungere la loro dimora: una grotta lungo il sentiero che porta al bullicame. La madre vestita con pochi stracci, il figlio Alfio con un cappottaccio militare ed il cane, Raule, coperto solo dalle sue ossa.

Questo è il racconto della Caterina, caratteristica figura Viterbese che per uno dei pochi giorni dell’anno ha mangiato con il figlio e il cane festeggiando la ricorrenza cristiana. Infatti la suora dell’ospedale Grande degli Infermi, sito in via S. Lorenzo presso il Duomo di Viterbo, gli aveva preparato nel secchietto solito due belle porzioni di minestra, due bistecche cotte, tre sfilatini e qualche avanzo per il cane.

Arrivati a casa, una grotta etrusca, ha messo sul tavolo sudicio il quartaroncello del vino, due bicchieri di diversi colori, tra il zozzo e il grasso e un bambinello che gli aveva regalato la suora benedicente.

Avevano acceso la candela che serviva da illuminazione e riscaldamento, hanno mangiato e poi si prepararono a coricarsi su un pagliericcio ripieno di carta paglia e foglie secche di granoturco che propagarono un suono strano che sembrò l’opera di Beethoven.

A mà, disse Alfio, perché sonano tanto le campane de Veterbo? Perché stanotte, rispose la Caterina, li cristiane vanno a messa a veda nasce il Bambino Gesù come quello che cià dato la suora dell’ospedale, po’ quanno vanno a casa accenneno ‘l presepio.

A mà, replicò Alfio, perché nue nu l’avemo fatto? Perché ‘l bambinello adè solo? Mancano le pecorelle, le pupazze, la stalla, il bue, l’asinello, la stella, Maria, S. Giuseppe e tutte l’altre anemale? Però, in compenso, nella grotta c’erano ragni, magnapane, topi, millepiedi e il cane Raule.

A mà, rifece Alfio, adè freddo e si ficcò sotto quelle luride coperte facendo ancora suonare la sinfonia di Beethoven. Al che, la Caterina disse: “vene qua vicino a me e riscallete che pure a Natale Gesù è nato ma na grotta”.

Gli anni che seguirono la Caterina scomparve ed Alfio visse in una casetta a fianco a Porta Faul fornitagli dal Comune raccogliendo cartone e materiali vari, sempre da tutti benvoluto.

Negli anni a seguire Alfio fu accolto in una Comunità di accoglienza, Centro Sociale dove si guadagnò subito la simpatia dei compagni e del personale tutto. Alfio era vissuto in una grotta etrusca con la madre Giovanna Pannega detta “Caterinaccia” che se veniva derisa o presa in giro non si faceva scrupoli a rispondere a tono. Resta famosa la risposta data ad una signora in vista che le comprò uno dei suoi  mazzetti di viole e disse: “ Caterì, queste violette puzzano”. Caterina rispose a tono: “'l culo te puzza, no le violette mie”, e quella frase gli costò due giorni di prigione a Gradi.

Alfio si guadagnò un pezzo di pane prelevando il cartone dai negozi e rivendendolo al magazzino di raccolta al prezzo di tre lire al chilo. Fece molti altri lavori, partecipò anche agli scavi presso la zona di Casteldasso condotti dal Re di Svezia, appassionato di storia Etrusca, e di questo, Alfio, si vantava a modo suo, raccontando in dialetto un po’ comico e rozzo la sua esperienza.

Un Consigliere del Comune di Viterbo ed il Sindaco stesso, intrapresero una raccolta di fondi per dargli un alloggio tutto suo, un piccolo prefabbricato in legno, ma purtroppo non fu possibile in quanto Alfio, prima della consegna dell’alloggio, raggiunse la madre nell’Aldilà con grande rammarico di quanti lo conobbero e gli vollero bene.

Spariva così uno dei personaggi caratteristici Viterbesi che hanno lasciato un bel ricordo scritto nelle sue semplici poesie pubblicate in un libretto con la storia della sua vita.

Giovanna Pannega detta Caterina
Giovanna Pannega detta Caterina

 

 

Città di Viterbo

 

O mia città natale chiamata Viterbo

Sei circondata dalle grandi mura

che racchiudono tesori d’arte medioevale.

E tu tesoro sopraffino

È il quartiere di San Pellegrino

Con le vie strette

Come si usava all’epoca d’allora.

Poi c’è Pianoscarano

E anche il Palazzo Papale e piazza del Comune.

Su la colonna alto c’è un leone

Che con lo sguardo sembra dire:

“della città ancora sò il padrone”.

A via Faul al dentro delle mura

Ci sta una torre che è assai sovrana

Che è chiamata della Bella Galliana,

c’è la porta, di tutte è la più antica,

e ogni turista la viene a visitare.

Come poeta non mi posso soffermare

Ed ho citato i punti più belli

Della vecchia Viterbo medioevale.

 

Alfio Pannega